“Le notti del terrore” fa parte di quel genere di film che ogni appassionato di horror (anche, ma non troppo, di bocca buona) deve vedere per fede…
Qualcuno apostrofa questo film con il termine “trash”, altri ne criticano l’assenza di sceneggiatura; altri ancora, infine, ne deridono i dialoghi.
E’ un film di zombi. Questo almeno è il dato certo.
Ma costituisce un episodio a sé nell’ormai infinita cosmogonia di film sui “mostri viventi” (fa parte dei dialoghi risibili...) che ormai conosciamo e dentro la quale, spesso, troviamo difficile orientarci.
Questa pellicola del 1980 diretta da Andrea Bianchi (registra, tra le altre cose, del satanico "Malabimba" del 1979) è un persistente “vorrei ma non posso” in odor di zombi che, tuttavia, malgrado le ineguagliabili cialtronate, i dialoghi puerili, pasticciate sequenze di improbabili inseguimenti, seni al vento e orrende (in quanto effettaccio) maschere zombi, risulta efficace sotto diversi aspetti.
Alcune sequenze diventeranno piccoli cult, e in certi momenti, volendo osare, sempre con le dovute cautele, vengono raggiunte consistenti aderenze con film del calibro di “Quella villa accanto al cimitero” e “Zombi 2”, entrambi, qualora occorresse ricordarlo, del maestro Fulci.
La storia, scarna e fiacca, esclusivamente orientata all’esposizione di nudità e situazioni pseudoerotiche e, nel proseguo, verso le amate e attese orge cannibalesche degli zombi, narra di un gruppo di amici che, invitati da un misterioso archeologo (non si capisce come e perché) nella di lui villa, si trovano costretti a resistere e combattere contro una putrescente masnada (de)composta da antichi etruschi, evocati dallo stesso studioso.
Disturbati dal loro sonno millenario, questi, hanno le peggiori intenzioni, non ultima quelle di nutrirsi dei vivi, forse per vendetta o semplicemente per soddisfare la loro fame di carne (umana) fresca.
Il primo pranzetto dei “mostri viventi” sarà proprio il goffo e pittoresco archeologo.
Fuggiti dalla villa-trappola, dopo una faticosa fuga attraverso le vicine campagne, i sopravvissuti giungeranno ad un sinistro monastero. Ritenendosi malaccortamente protetti dalla clemenza divina, subiranno la peggiore delle sorti ponendo fine alle loro sofferenze e restituendo ai titoli di coda il nostro giudizio e le nostre (più che legittime) perplessità.
Fra i momenti e i fatti “memorabili” ricordiamo senza dubbio il rapporto edipico fra Evelyn (bellissima Mariangela Giordano) e il figlio-freak Michael (Pietro Barzocchini, attore affetto realmente da nanismo, dunque perfetto per interpretare il pargolo) che sfocerà in una delle sequenze cult alle quali si faceva cenno qualche paragrafo fa: un capezzolo strappato a morsi dallo straordinario impatto visivo, assai disturbante.
Fra teste mozzate a suon di pittoresche falci, morsi, diversi litri di sangue, pus a fiumi, crani fracassati, qualche sconclusionata sparatoria e goduriose quanto inopportune nudità femminili, bisogna concludere che il film intrattiene e pizzica le corde di un (in)sano, marcescente e ripugnato divertimento: certo, non ne viene fuori una sinfonia, ma un motivetto che ci piace tanto che, se è pur vero che offende la reputazione della legione dei non morti, lo fa con rispetto e senza pretese.
Questi, lentissimi, Romeriani, hanno l’unico scopo di tormentare e, se possibile, divorare lo sfortunato gruppo di villeggianti che farà tutti gli sforzi necessari per resistere all’attacco delle creature, ovviamente non riuscendoci e regalando alla spettatore 83 minuti circa di cupo e piacevole passatempo.
Regia: Andrea Bianchi
Produzione: Esteban Cinematografica (1980)
con Pietro Barzocchini, Claudio Zucchet, Anna Valente, Renato Barbieri, Mariangela Giordano
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