Qui fuori, almeno dalle mie parti, c’è tanto caldo. C’è mare, estate, gente che pana se stessa sulla spiaggia, in attesa di esser cotta a puntino… e diventare un gustoso spuntino.
E qual’è il film che ci riporta, più di tutti, agli afosi clamori dell’estate, del mare?
“Lo squalo”, senza dubbio, lui: il pesce più famoso della storia del cinema (con buona pace degli sdolcinati squaletti 3D made in DreamWorks).
Inevitabile che in questa sede non se ne parlasse. Inevitabile che il mostruoso pescione mangiauomini non abitasse queste pagine che parlano di horror (e dintorni).
E, infine, altrettanto inevitabile che un capolavoro della storia del cinema come questo non fosse diretto da un maestro indiscusso del fantastico, proprio lui, Steven Spielberg.
Nel 1975, il Nostro, regalò qualche fobia in più all’intrepido bagnante che, spintosi verso il largo, e guardando l’ipogeo liquido che lo circondava, si lasciava percorrere da un brivido generato più dalla suggestione che da consistenti pericoli.
Una sagoma oblunga e minacciosa poteva, dolorosamente, divorarlo da un momento all’altro.
Spielberg costruì l’idea di mostro “reale”, utilizzando un (fuori dal) comune squalo, voracissimo, determinatissimo e spietato tanto quanto il suo cibo preferito: l’uomo.
La sceneggiatura fu tratta dal un racconto di Peter Benchley, che ne curò anche la stesura oltre a interpretare anche una piccola parte nel film.
Lo sceriffo Martin Brody (Roy Scheider) è il capo della polizia della piccola e turistica isoletta di Amity; (in)coerentemente con il suo importante ruolo, ha terrore dell’acqua e l’idea stessa di mettere i piedi a mollo lo trascina sul fondo di una sudaticcia crisi di panico.
Quale migliore (anti)eroe poteva essere, quindi, fra i protagonisti di questo film, entrato di diritto fra i migliori 100 film di sempre (fonte American Film Institute)?
Non è certamente il caso di dilungarsi sulla trama ma per chi non la conoscesse (credo, solo i pesci) eccone una breve sintesi. Un mostruoso squalo bianco tenta di guastare le feste al sindaco della già citata Amity, Larry Vaughn (Murray Hamilton), mettendo a repentaglio la stagione balneare e la salute mentale del buon sceriffo Brody, della sua famiglia e dell’audace e acuto oceanografo Matt Hooper (Richard Dreyfuss).
Dopo l’inevitabile spargimento di sangue iniziale di una bagnante che nottetempo viene massacrata dal gigantesco carcarodonte e l’altrettanto scellerato scetticismo del sindaco e della sua compiacente e approssimativa giunta che nega ogni evidenza, lo sceriffo Brody comincia la sua personalissima battaglia per scovare il “sospetto” e consegnarlo alla giustizia dell’uomo (e del mare). Chiede, per questo, aiuto ai capoccia del governo che gli mandano il giovane e dinamico Hopper, e all’infernale Quint (memorabile e ruvido Robert Shaw), che mosso dal un (apparentemente) facile e cospicuo guadagno si mette alla caccia dello squalo sul quale pende una considerevole taglia.
Il drappello di eroici cacciatori parte alla volta dell’ignoto, per riportare la testa e la coda dello squalo (e tutto quello che ci sta in mezzo, come sottolinea il burbero Quint) ai voraci amministratori di Amity.
In questa pellicola, che lo stesso Spielberg ha paragonato al suo “Duel” in quanto ne segue la stessa struttura narrativa (Tir-Squalo che preda l’uomo in piccola barca-vettura), sono infiniti i momenti di suspense, divertimento e orrore puro: è, per questo, un film completo che non concede tempo per distraenti elucubrazioni e voli pindarici in riflessioni filosofiche: un grosso pesce che aspira al tuo sedere e non ha nessuna intenzione di abbandonare “l’acquario terrigno” delle sue prede è sempre garanzia per le oltre due ore di sano intrattenimento.
Il Nostro mostro, creato e generato da Bob Mattey e dal designer di produzione Joe Alves, è un pupazzone meccanico e anfibio. Verosimile e minaccioso tanto quanto i suoi fratelli in pelle e lisca, divenne vera e propria croce per i suo creatori-animatori in quanto, nella messa in opera e in acqua (salata) inevitabili furono i malfunzionamenti che causarono altrettanto inevitabili ritardi nella produzione. Ma, come si suol dire, il gioco valse la candela, perché ad oggi, malgrado i tentativi più o meno eroici di riportare alle vecchie glorie questo mostro marino vivente, “Lo squalo” di Spielberg rappresenta il miglior film sul genere della storia del cinema.
Per pura questione di campanilismo citerò “L’ultimo squalo” di Enzo Castellari che fonti ben più autorevoli dello scrivente (la mitica rivista “Nocturno”), considerano un degno erede dello squalo di Spielberg: e, a pensarci bene, le atmosfere sono piacevolmente simili, il mostro è godibilissimo e credibile e la suspense, con le dovute cautele, non ha nulla da invidiare al film del Maestro.
Escluderei, non pentendomene, ogni puntatina al terzo sequel della nostra pellicola e ai vari e rivoltanti Sharknado che poco o niente hanno da spartire con il capolavoro del 75.
“Lo squalo”, questo squalo, è un elogio alle paure elementari, al timore del quotidiano che diviene denti affilati e paura dell’esser mangiati vivi: il bagno a mare, attività usuale e rituale viene scalzata via dal comodo appiglio del quotidiano e diventa, qui, una sfida inconsapevole e letale contro la quale la misera e inadeguata (r)esistenza dell’uomo si piega, divenendo un’impotente e risibile pastura e viva esca per le fauci di questo leviatano inesorabile, memorabile e perfetto.
Regia: Steven Spielberg
Produzione: Universal (1975)
con Roy Scheider, Robert Shaw, Richard Dreyfuss, Lorraine Gary, Murray Hamilton
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