Torniamo a parlare di insetti “formato famiglia”, in questo gustosissimo fanta-horror di Guillermo del Toro, del 1997. Il prolifico regista un po’ come era in uso nella fantascienza degli anni ‘50-’60, ci parla di scarafaggi mutati, intelligenti (quasi quanto quelli di “Bug, Insetto di fuoco”) e, soprattutto, duri a morire.
Come ogni mutazione che si rispetti e garantendo il patto implicito che questo genere di film fa con lo spettatore, la trasformazione da insetto schiacciabile a insettone “schiacciante” è il risultato di una sperimentazione genetica, evidentemente malriuscita...
Procedendo per ordine, l’incipit allarga le “elitre” (visto l’argomento, si consiglia uno studio sommario dell’anatomia degli insetti) su uno scenario drammatico in cui tutti i bambini di New York vengono via via decimati da un virus veicolato proprio da loro, gli scarafaggi, e battezzato con il nome “morbo di Strickler”, che già dal suono risulta nocivo e portatore di pessime nuove...
Prima che un’intera generazione di newyorkesi venga spazzata via dai maledetti insetti, Peter Mann (Jeremy Northam), vicedirettore del centro per il controllo e la prevenzione delle malattie, invoca l’aiuto dell’entomologa e “scarafaggiologa” Susan Tyler (l’incantevole Mira Sorvino) affinché possa confezionargli una soluzione letale, preferibilmente a sei zampe, che spazzi via gli insetti assassini dal sottosuolo di New York.
Lei lo fa, ci riesce fin troppo bene: crea una razza di scarafaggi mutanti che ribattezza con il nome di Judas; azzeccatissimo e tremendamente calzante, considerato il trattamento che la nuova specie riserverà alla madre putativa.
Il morbo di Strickler viene debellato e, galeotta fu la blatta, Peter e Susan si sposano per vivere felici, disinfestati e contenti.
Ma l’azzardo genetico sta per presentare a New York e alla dottoressa Tyler il conto, procurando ai suoi abitanti una sorte forse peggiore dell’epidemia che pochi anni prima ha rischiato di uccidere i giovani newyorkesi.
Infatti, tre anni dopo, gli ipogei della metropoli sono diventati un’immensa e fetida incubatrice dove i Judas hanno avuto tempo e possibilità di svilupparsi, integrarsi, specializzarsi e, naturalmente, mutare. Il titolo del film, lascia presagire che fra le qualità acquisite dagli insetti c’è proprio la capacità di imitare l’uomo. Lo scoprirà la dottoressa Tyler, quando, faccia a faccia con uno dei mostri, apprenderà, con orrore, che la vera testa dell’insettone è celata da una sorta di esoscheletro mobile avente le sembianze di un volto umano.
La Tyler intuirà (dopotutto li ha creati lei) che i suo figli “degeneri” hanno conservato l’istinto predatorio originario.
E quale potrebbe essere il peggior antagonista di uno scarafaggio alto quasi due metri e grosso come Mike Tyson?
Dopo i primi assassinii che presentano allo spettatore tutte le potenzialità omicide degli insettoni, la verità, costruita su un quadro indiziario che il regista ci svela con sapienza e senza troppa fretta, condurrà la Tyler, il marito, un collaboratore e un incazzatissimo poliziotto, nel regno dei Judas, ossia le fogne, dove la masnada giocherà la partita finale con la morte, qui, avente le sembianze degli insettoni tutti bava e sterco puzzolente, organizzati in una ciclopica colonia.
Inutile sottolineare che lo scopo dello sciame è quello di invadere il mondo del sopra e, forse, spiccare il volo, alla (ri)conquista del pianeta.
Per puro campanilismo occorre citare la presenza del nostro Giancarlo Giannini che interpreta un lustrascarpe al quale i Judas rapiscono il figlio, bambino prodigio, per questo risparmiato dagli insetti che riescono in qualche modo a comunicare con lui.
Sottolineo “per puro campanilismo” perché Giannini, pur riconoscendo la sua indubbia (ed immensa) capacità artistica, in un horror del genere mi è sembrato impacciato, fuori luogo e privo di mordente.
Gli scarafaggi mutanti di “Mimic” (un mix di Computer Grafica, cari vecchi animatroni e poetiche marionette) sono, malgrado la loro ripugnante parvenza, creature assai avvincenti. Sono dei mostri nel senso etimologico del termine, ossia “prodigi” e, soprattutto, “portenti”.
Per certi versi ne ammiriamo la capacità di mimesi, l’intelligenza, il percorso evolutivo che li ha collocati parecchi gradini oltre il nostro: restiamo affascinati e al contempo terrorizzati da questa loro capacità di divenire altro, conservando un onesto e nobile istinto di sopravvivenza, che torna a loro utile per proteggere la specie, esattamente come farebbe qualunque altro essere vivente, posto di fronte alla possibilità di essere sterminato.
Queste straordinarie creature appartengono al “mondo del sotto” che è il loro regno indiscusso; tuttavia anelano al “mondo del sopra”, lo bramano in tutti modi possibili, essendo “alieni terrestri” (personalmente mi ricordano i sinistri e demoniaci insettoidi de “L’astronave degli esseri perduti” di Roy Ward Baker).
Ne è testimone quella straordinaria mutazione, ossia l’esoscheletro che simula un’imperfetta ma perfettibile maschera antropomorfa, un camuffamento efficace avente l’unico scopo di rendere più semplice le battute di caccia alla ricerca di nutrimento e lo studio dei nemici a due zampe…
Ed è qui che le cose si ribaltano e gli insetti diventiamo noi. Caotici, distruttivi, endemici, attori di un progetto ontologicamente “mostruoso” e innaturale.
A pochi passi dai titoli di coda di questa suggestiva pellicola, “funestata”, tuttavia, da un lieto fine incolore e inodore che smorza e quasi appiattisce tutto il girato, vien da chiedersi se i veri mostri (non prodigiosi, men che mai portentosi) siamo noi.
Regia: Guilliermo del Toro
Produzione: Dimension Films (1997)
con Mira Sorvino, Jeremy Northam, Alexander Goodwin, Giancarlo Giannini
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