Ancora una volta si torna a parlare di vampiri, onnipresenti creature che da sempre svolazzano qui e là su queste e altre migliaia di pagine della rete.
Ma questo vampiro è differente.
Pur mantenendo il carisma tipico dei suoi predecessori, con tanto di mantello in stile Bela Lugosi, non usa, come vedremo, trasformarsi in un canonico pipistrello per volare da una parte all'altra degli Stati Uniti alla ricerca di sangue, cibo, vendetta o chissà cosa.
Lui usa un piccolo, nero e assai inquietante aeromobile (un Cessna Skymaster) che gli permette di atterrare silenziosamente, nella maggior parte dei casi abusivamente, sulle tante piste private e non disseminate un pò ovunque nel vasto territorio americano.
Dentro la sua cabina di pilotaggio custodisce un vecchio album di ricordi che ci svela ciò che il mostro era stato prima di esser tale: un raffinato aviatore dei primi del 900, con una donna bellissima dall’elegante acconciatura edoardiana.
Cosa lo abbia ridotto ciò che è divenuto non viene svelato e forse non conta.
Ciò che conta per la narrazione è che uccide con stile, seducendo le sue vittime, non importa se donne o uomini.
Li dissangua nel più classico dei modi, con due ripugnanti denti ben affilati, tuttavia non canonicamente (o “caninamente” se mi è permessa l’ironia) disposti sull'arcata superiore della bocca: questi sembrano più due orribili artigli contrapposti, fatti apposta per azzannare, staccare la testa e succhiare vita, emoglobina e terrore dai malcapitati... decapitati.
Il nostro vampiro, il cui nome è Dwight Renfield interpretato dall'assai affascinante quanto sfuggente (dare spazio al non visto e al mostro era d’altronde necessario) Michael H. Moss, deve però far conto con un Van Helsing assai atipico e certamente meno raffinato di quello che l'immaginario collettivo conosce.
Chi gli dà la caccia è un reporter senza scrupoli, Richard Dees, interpretato dal compianto Miguel Ferrer, qui al massimo della sua ruvida crudeltà attoriale, tanto da togliere il palco, in tantissime memorabili sequenze all'eroe sanguinario tutto denti e malinconia.
Ed in effetti, una vena malinconica pervade tutto il film, sostenuta e sostenuto da una colonna sonora, tutta pianoforte e pad sintentici, a tratti struggente e a tratti inevitabilmente “horror anni ‘90”.
Richard lavora per una rivista in stile Cronaca Vera, "Inside View", pane quotidiano il quale sono morti suicidi, assassini, bambini trucidati e chi più ne ha più ne metta: un inferno di celluloide, dove, per ciascun girone-pagina, sono previste crudeltà di ogni genere, perfettamente suturate sulla morbosità del pubblico "leggente" e pagante. Come ogni testata giornalistica di questo genere che si rispetti, il direttore, Merton Morrison (quel Dan Monahan di quel Porky's...) sguinzaglia Richard Dees per dare la caccia al serial killer volante ma non contento, cerca (riuscendoci col tranello, ovviamente) di affiancargli una giovanissima giornalista, Katherine (la vacua e inconsistente, ahimè, Julie Entwisle). Lei sembra un convincente canarino Titti nei modi e nella forma ma alla fine della pellicola sarà lei a darci il pugno allo stomaco, con buona pace del suo maestro e del mostro.
C’è un momento in questa pellicola in cui lo spettatore è costretto a fare i conti su un interrogativo certamente banale ma elemento cardine di quasi tutta la cinematografia horror: chi è il vero mostro?
Il Dwight-vampiro o il Richard-reporter?
In effetti, la matassa si districa solo alla fine, subito dopo il testa a testa davanti gli specchi dei cessi, nell’ultimo aeroporto dove Renfield e il suo ormai “schiavo” Dees, riconosceranno nell’uno la natura dell’altro, suggellandola con, neanche a dirlo, il sangue.
Pochi secondi dopo, la realtà si coagula attorno al colpo di scena finale, fra i fumi della pazzia in crescendo di Dees e il mantello svolazzante del vampiro che ritorna verso il suo piccolo aereo, alla ricerca della sua eterna vendetta.
La nostra Katherine, giovane, fragile e inesperta aspirante giornalista che fine ha fatto?
Chiude la scena, congela l’atto, fa da controcanto al caos rosso sangue di prima: pacatamente, messa da parte la dolcezza, respira gli ultimi secondi del film che si chiude sul primo piano della nuova Richard Dees di “Inside View” al suo primo, esplosivo, scoop.
Come molti altri film che infestano queste pagine virtuali, The Night Flier è un reietto, un dimenticato. Evidentemente una sorta di maledizione grava su un certo tipo di cinema che piace a “troppi pochi” pur avendo stile, suggestioni, ritmo e sequenze che probabilmente non sono per tutti, non meritano l’empireo del cinema mainstream.
Eppure il vampiro rappresentato in questa pellicola, pur nella sua "sguaiata" per quanto decisamente d’impatto rappresentazione visiva (ha curato gli effetti la compagnia KNB EFX Group, specializzata in trucco protesico) è fra i più convincenti non-morti succhiasangue della storia di un certo cinema horror.
Dwight Renfield è sì un assassino, ma lo si percepisce subito che non è stato sempre il suo “mestiere”: fare il cattivo non sembra essere lo scopo per il quale sia nato.
Di fatto, le rare trasfigurazioni dell’essere, in umano, ci restituiscono sempre l’immagine di un uomo dal volto irrorato di contrizione e malinconia ma mai crudeltà.
E persino di pentimento quando, malgrado i numerosi tentativi di dissuadere Dees a svelare al mondo la sua esistenza, è costretto ad affidarlo ad un destino feroce come gli scatti spietati della sua reflex.
L’umanità del vampiro sovverte le regole del film e ci fa comprendere che la peggiore delle bestie è, come è inevitabile che sia, l’uomo, con le sue sozzure, le sue deformazioni interiori e la sua spaventosa quanto diabolica vocazione alla violenza.
Regia: Mark Pavia
Produzione: Richard P. Rubinstein, Mitchell Galin (1997)
con Miguel Ferrer, Julie Entwisle e Dan Monahan
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