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The Thing (1982)

Aggiornamento: 6 ago 2019

Metti una mutazione a cena… Metti un alieno in villeggiatura sul nostro pianeta, fermamente intenzionato a contagiare ogni forma di vita organica conosciuta.

Metti un John Carpenter ai suoi più alti livelli registici, ispirato, ancora una volta, dal suo attore feticcio, vero e proprio “muso”, Kurt Russell: bello, maledetto e glaciale più che mai.

Risultato? “La cosa”, un film del 1982 (annata prolifica!) che si colloca agevolmente fra horror puro e fantascienza terrigna, celebrando con successo e grande maestria entrambi i generi e omaggiando inevitabilmente “L’invasione degli ultracorpi” di Don Siegel del ‘56 e “Terrore dallo spazio profondo” di Philip Kaufman del ‘78 (che è il remake del film di Siegel).

A questo aggiungiamo una colonna sonora di grande intensità, pulsante, incombente; firmata oltre che dallo stesso Carpenter da un memorabile Morricone.

La storia. Nella base scientifica statunitense U.S. Outpost #31 giunge un elicottero battente bandiera norvegese, pilotato da due uomini che hanno le peggiori intenzioni nei confronti di un siberian husky, terrorizzato e in fuga.

Il gruppetto della base tenta di dissuadere i due norvegesi dal “canicidio” ma con scarsi risultati: nel concitamento generale, fra l’incredulità della masnada, l’elicottero esplode, a causa di un maldestro tentativo di uccidere il cane a suon di granate: uno dei piloti muore nella deflagrazione, l’altro viene ucciso poco dopo dal comandante della base, Garry (Donald Moffat) temendo per la sorte dei suoi compagni.

Il pilota Kurt “MacReady “ Russell e il dottor Copper (Richard Dysart), decisi a captare un minimo di verità dall’insolita vicenda, partono alla volta della base norvegese e atterrano su uno scenario decisamente sinistro: la base semidistrutta da un incendio, una fossa di ghiaccio che sembra aver contenuto “qualcosa” dentro e, non lontano, sulla neve, quel che resta di una ributtante massa organica completamente carbonizzata, con due teste “quasi” umane spaventosamente deformate (diventate poi icona del film, negli altrettanto celebri manifesti pubblicitari).

MacReady e il dottore indagano ulteriormente e trovano un uomo con le vene tagliate e ovviamente, completamente congelato. Convinti che qualcosa di terribile è accaduto nella base, caricano la ripugnante massa sull’elicottero e tornano dai loro compagni.

L’orrore alieno non tarderà a risvegliarsi ripetendo un copione inesorabile e distruttivo...

“La cosa” è un film che parla sostanzialmente dell’esasperato (e attualissimo, ahimè) timore dell’altro, che qui assume tinte nevrotico-deliranti a causa dell’isolamento e del pericolo incombente e silenzioso di un contagio di natura sconosciuta.

Il virus veicolato dalla creatura aliena divora, replicandole, le sue vittime, distruggendone l’io, sostituendosi all’anima e modificando (mortificando, anche) la carne con raccapriccianti mutazioni.

Il nemico, il mostro s’insinua dentro qualunque cosa abbia cartilagini, muscoli, cervello e ossa...

Questa poetica della metamorfosi è affidata allo schermo ed è elaborata con grande potenza visiva, grazie agli effetti speciali del leggendario Rob Bottin padre di tanti “mostri sacri” e, nello specifico, di questo alieno multiforme, sorprendentemente osceno nel suo goffo ma determinato tentativo di divenire uomo, animale o “cosa”, appunto; frugando in ogni singolo globulo, strisciando dentro il sangue ed esplodendo in complesse e assai suggestive “infruttescenze” organiche.

La prima vittima è il siberian husky che, con la sua innocente parvenza, irrompe nella base e compromette la regola elementare di ogni canide: essere amico, incondizionato, dell’uomo.

Poi è il turno, uno ad uno, di tutti gli altri che, fra atroci tormenti e dolorose trasformazioni, diverranno la scacchiera umana sulla quale la creatura giocherà le prime mosse per la realizzazione del suo malsano disegno: colonizzare il nostro pianeta.

Ecco quindi che “La cosa” diviene un film apocalittico (assieme a Il Signore del Male e Il seme della follia, che costituiscono, la trilogia dell’apocalisse di Carpenter); ed ecco che lo U.S. Outpost #31 e i suoi occupanti divengono l’esperimento pilota per qualcosa di tragico e definitivo per l’umanità intera.

L’alieno, nel memorabile conflitto finale con l’umano MacReady, viene spazzato via da una manciata di candelotti di dinamite. Ma non è un lieto fine ad attendere il buon Russell e l’altro superstite, il meccanico Childs (Keith David).

La base è totalmente distrutta, divorata dall’esplosione e i due non hanno più punti di riferimento: probabilmente moriranno di fame e freddo.

Ma è questa la peggiore delle sorti?

Lo spettatore si chiede se MacReady e Childs siano stati contagiati.

Sono (im)perfette repliche aliene o ancora umani?

John Carpenter, molando a mestiere il suo pessimismo, corrompe le nostre certezze invitandoci (e lo fa per tutto il film) a prendere una posizione che, necessariamente, passa da un binomio spietato ma onesto: abbandonarci ad una rassegnata e risibile fiducia nell’altro o correre il rischio di uccidere, sulla scorta di arbitrari sospetti, l’ultimo umano nel raggio di diverse miglia…

I piani si (con)fondono, si sovrappongono: in una dissolvenza incrociata di cellule che diventano imitazioni di altre cellule e cellule “altre”, il debole sorriso dei due sopravvissuti ci appare rassicurante ma rassegnato.

Ci aggrappiamo alla speranza di riconoscere in MacReady e Childs ciò che siamo (eravamo?), prima che il sipario, gelido e illuminato dai fulgori della base incendiata, cali definitivamente.

Imitando l'uomo...

Regia: John Carpenter

Produzione: Universal (1982)

con Kurt Russell, A. Wilford Brimley, T.K. Carter, David Clennon, Keith David, Richard Dysart, Charles Hallahan, Peter Maloney, Richard Masur, Donald Moffat, Joel Polis, Thomas G. Waites, Norbert Weisser, Larry Franco, Nate Irwin, William Zeman

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