Parlare di questo “mostro sacro” del cinema in questa recensione è per me fonte di immenso piacere.
“Un lupo mannaro americano a Londra” di John Landis del 1981 appartiene alla mia (e forse anche vostra) infanzia ed ha contribuito a generare in chi vi scrive quella grande passione per il cinema horror in tutte le sue numerose anche se non sempre felici declinazioni.
Pellicola ampiamente ironica, onirica, grottesca, densa di atmosfere cupe e a tratti delicate, di colpi al cuore, perché no, d’amore e di una bella e grigia Londra stretta d’assedio da un lupo “inesatto”, mostruoso e sanguinario, commovente e crudele.
Questo pezzo d’antiquariato del cinema del terrore è un immenso contenitore di suggestioni e virtuosismi cinematografici: qui troviamo, fra le altre cose, fra le più famose e azzarderei definitive e ineguagliabili sequenze di metamorfosi uomo-lupo, mai viste nei film sui licantropi.
John Landis omaggia, inevitabilmente, l’uomo lupo di Lon Chaney jr., dell’omonimo film ma propone una nuova lettura della vicenda, tutta peli, zanne e ironia.
Oltretutto è stato fra i pochi registi che hanno trattato il tema ad intuire che, cambiare conformazione ossea, deve fare un male terribile...
David (David Naughton) e Jack (il “fuori orario” Griffin Dunne) sono due giovani americani in viaggio per l’Europa. Scanzonati, divertiti e, scopriremo, assai incoscienti, si avventurano fra i suggestivi paesaggi della contea dello Yorkshire in Inghilterra, parlando di donne e raccontandosi spassosi aneddoti, nelle sequenze iniziali del film.
Dietro la macchina da presa intenta a “seguire” i protagonisti (con un suggestivo campo medio che poi muta in lungo), John Landis ci racconta, implicitamente, che qualcosa di minaccioso abita quei luoghi sperduti.
Qualcosa che osserva, silenziosamente, ed è pronta ad attaccare e, scopriremo, a sbranare...
Vinti dalla stanchezza e dalla fame, David e Jack approdano nel piccolo paesino di East Proctor, quattro case l’una sull’altra, ravvivate (si fa per dire) unicamente dalla presenza di un classico pub inglese, “L’agnello macellato”.
Già da subito i due vengono percepiti come una minaccia dai poco affabili frequentatori del ritrovo. Tuttavia, malgrado le prime (e motivate) diffidenze, concedono ai ragazzi l’opportunità di scaldarsi ossa e animo al patto implicito di starsene al loro posto.
La calda accoglienza stride contro un elemento dissonante e sinistro disegnato sul muro: un pentacolo al centro di due grosse candele accese.
Jack, per volontà del buon John Landis, che è anche soggettista e sceneggiatore del film, omaggia ufficialmente e spudoratamente “L’uomo lupo” (del 1941), Lon Chaney jr. e la Universal, suggerendo a David che il simbolo magico è proprio il marchio dell’uomo lupo di quel film e che è assai evidente che è stato messo lì apposta dagli abitanti del luogo, allo scopo di proteggerli da qualcosa di terribile.
La perplessità di David viene smorzata da uno degli uomini del pub che comincia a raccontare una barzelletta (sottolineo, realmente esilarante!).
La storiella smorza apparentemente la tensione e regala agli avventori una grassa e liberatoria risata.
Ma Jack guasta ancora una volta le feste (sarà per questo che verrà designato come prima vittima...), proprio all’epicentro dell’ilarità, puntando attenzioni e sguardo sul pentacolo e chiedendo, secco e diretto, informazioni su di esso.
A quel punto disagio e terrore ripiombano come una valanga di macigni su tutto e tutti e i due giovani vengono invitati aspramente ad allontanarsi dal pub con due uniche raccomandazioni che fanno gelare il sangue: guardatevi dalla luna. E tenetevi lontani dalla brughiera.
David e Jack, impauriti e disorientati, imboccano l’uscio velocemente, lasciandosi inghiottire... dalla brughiera. E, di lì a poco, da una terribile sorte.
La sequenza della passeggiata notturna al chiar di luna dei due protagonisti è epica e vale, essa stessa, mille nomination. Perché Landis, magistralmente, (in)segue le potenziali vittime, alternando campi e piani e lasciandoci quasi “sperare” che il mostro si materializzi il prima possibile, facendo il suo sporco lavoro e sciogliendo la tensione una volta per tutte.
Accade tutto velocemente e, chiaramente per non rovinare subito le attese di noi crudeli testimoni/spettatori, il mostro viene inquadrato appena: massacra, dilaniandolo, Jack e ferisce non mortalmente David…
La maledizione dell’uomo lupo è compiuta, il veleno è nella ferita: il mostro, al prossimo plenilunio, tornerà ancora ad uccidere, e lo farà scorrazzando in lungo e in largo per una grigia e piovosa Londra.
Il creatore materiale di questo memorabile lupo mannaro è Rick Baker e il suo straordinario staff di effettisti che realizzano una creatura lontana dallo stereotipo che la vuole bipede. Sembra, in effetti, quel che deve essere: un lupo mostruoso ed enorme con zanne esagerate, generate e create per fare il massimo guasto sulla carne umana e regalarci oltre un’ora di intrattenimento e indimenticabili sequenze.
Fra queste, la scena (che è uno dei sogni/deliri del protagonista già nel viatico della licantropizzazione) in cui il piccolo David e la sua famiglia vengono massacrati da epici e mostruosi Nazilicantropi o quella in cui il classico gentleman, con tutto il suo risibile e vanaglorioso “aplomb”, viene inseguito e poi ucciso dentro l’inquietante e labirintica metropolitana londinese.
E, infine, la già citata sequenza della trasformazione da uomo a lupo che, per ovvie ragioni (e aggiungo per fortuna) non ha il saporaccio dell’artefatto digitale essendo stata realizzata con appassionata “analogica” artigianalità, riuscendo, dopo quasi 40 anni ad essere ancora genuinamente e spaventosamente efficace, divertente e talmente verosimile che, oltre a terrore, proviamo quasi pietà nel vederla compiersi.
Regia: John Landis
Produzione: Polygram Filmed Entertainment, Lyncanthrope Films (1981)
con David Naughton, Jenny Agutter, Griffin Dunne, John Woodvine
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